Data:
30 Maggio 2023

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Ultimo aggiornamento:
30 Maggio 2023, 9:56

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Maria Agamben nacque a L’Aquila il 19 settembre del 1899 da Alfredo e Nicolina Auriti.

Animata da una profonda fede, la giovane Maria si formò sulle pagine dei due principali teorici del pensiero cristiano sociale, Emmanuel Mounier e Jacques Maritain. Conseguì la laurea in lettere e intraprese la professione di insegnante. Incontrò Mario Federici, anch’egli aquilano, affermato autore e critico teatrale, con il quale si sposò nel 1926, in pieno fascismo. Il sentimento antifascista condusse i coniugi all’estero, a Sofia, in Egitto e a Parigi dove Maria  continuò a insegnare presso gli Istituti italiani di cultura.

Fece ritorno a Roma nel 1939 e s’impegnò nella Resistenza. Nello stesso periodo, come delegata dell’Unione donne dell’Azione Cattolica (Udaci), organizzò un piano di assistenza per le impiegate dello Stato, rimaste disoccupate.

Nell’agosto del 1944 fu eletta delegata al Congresso istitutivo delle Acli (Associazioni cristiane lavoratori italiani): prima donna ad avere tale incarico e in questa veste l’anno successivo organizzò il Convegno nazionale per lo studio delle condizioni del lavoro femminile, che costituì un importante momento di confronto delle donne cattoliche. E’ l’unica donna tra le relatrici: in questa occasione le viene affidato il compito di seguire le iniziative sul tema del suffragio.

La profonda fede cattolica, la frequentazione di mons. Montini, contribuiscono a fare di lei una delle più assertive sostenitrici dell’autonomia delle donne cattoliche, per conseguenza è contraria alla confluenza nell’Udi e si impegna nella fondazione del Centro Italiano Femminile del Cif, che, su indicazione di Maria Rimoldi, presiede dal 1945 al 1950 con energia e passione. Sono anni difficili, di lavoro intenso, il Cif si radica su tutto il territorio nazionale e la presidente orienta l’attività in soccorso agli sfollati ed ai reduci; dispiega una pluralità di iniziative per l’infanzia e l’adolescenza attraverso la costruzione di asili, scuole, refettori, aiuti agli emigranti, agli sfollati e ai reduci, ricoprendo la carica di vice presidente della Commissione nazionale Onu a favore dell’infanzia.. Nell’incarico di presidente del Cif, ella fonde le sue specifiche competenze professionali e quelle politiche come dimostrano, tra le altre, l’inchiesta del 1945-46, finalizzata a sondare le aspettative femminili rispetto alla democrazia. La sua preoccupazione maggiore era quella di educare le masse femminili alla vita pubblica, evento del tutto insolito per le donne cattoliche, che quasi all’improvviso si trovavano a votare prive di una cultura politica che potesse definirsi tale. Maria Federici fu molto attenta alle condizioni materiali della vita quotidiana delle donne, la cui durezza impediva spesso di distrarsi dai bisogni familiari.  Nel 1950 Maria consegna le dimissioni al Cif.

Candidata nelle liste della Dc alla Costituente, Maria Federici affrontò con energia e tenacia la campagna elettorale. Brava giornalista, con qualche anno di esperienza alle spalle, intervenne sulla stampa convinta che timidezza, ignoranza, in qualche caso apatia e senso di sfiducia diffusi tra le masse femminili necessitassero di un dialogo diffuso e serrato con donne e uomini. La presidente inquadrò in un’ottica ampia la questione del voto, nella consapevolezza che dietro all’opposizione si celasse una concezione arretrata delle relazioni familiari in contrasto con gli stessi principi cristiani. Eletta nella I e nella II Legislatura, la deputata fu relatrice del disegno di legge sulla «Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri» che diverrà la famosa legge n. 860 del 1950.

Sempre in questi anni, con Lina Merlin, Angela Guidi Cingolani e Maria De Unterrichter Jervolino, fondò il Comitato italiano di difesa morale e sociale della donna, finalizzato all’approvazione della proposta Merlin sulla chiusura delle case chiuse e per il reinserimento sociale delle prostitute. Più duraturo l’impegno nell’Anfe (Associazione nazionale famiglie emigrati), che fondò nel 1947 con la volontà di trovare adeguate soluzioni al fenomeno dell’emigrazione che vide massicci flussi nella fase della ricostruzione. Maria mantenne l’incarico di presidente per trentaquattro anni favorendo l’estensione dell’Anfe oltre i confini nazionali. Nel 1981 lasciò la Presidenza dell’Associazione e si trasferì a L’Aquila ma non abbandonò l’Anfe; collaborò alla preparazione del disegno di legge n. 356, presentato al Senato, sul nuovo ordinamento della scolarità dei figli degli emigrati.


Morì  il 28 luglio 1984, all’età di 85 anni.

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